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Responsabilità del proprietario incolpevole - nozione di operatore - messa in sicurezza d'emergenza - principio =chi inquina paga=


TAR Campania, Napoli, Sez. V, sentenza del 6 dicembre 2022, pubblicata il 18 gennaio 2023
Costituisce jus receptum l'orientamento a mente del quale, quando un fenomeno diinquinamento non è ascrivibile alla sfera di azione del proprietario medesimo, va escluso il coinvolgimento coattivo del proprietario dell'area inquinata, nelle attività di rimozione, prevenzione emessa in sicurezza di emergenza: al più tale soggetto potrà essere chiamato, nel caso, a rispondere sulpiano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopol'esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto dell'art. 253 del codice dell'ambiente (conf. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 novembre 2016, n. 4647 e 16 luglio 2015, n.3544).

Dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 152/2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV.) possono ricavarsi le seguenti regole:

1) il proprietario, ai sensi dell'art. 245 c. 2, è tenuto soltanto ad adottarele misure di prevenzione di cui all'art. 240, c. 1, lett. 1), ovvero "le iniziative per contrastare unevento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambienteintesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario oambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";

2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilooggettivo, l'inquinamento (art. 244, c. 2);

3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente) il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottatidalla P.A. competente (art. 244, c. 4);

4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabileovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, c. 4);

5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, c. 2).

La scelta del legislatore nazionale, desumibile dall'applicazione delle richiamate regole, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del principio comunitario "chi inquina paga", ormai confluito in una specifica disposizione (art. 191) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Neppure può neppure sostenersi che il carattere eminentemente cautelare (e non anche latu sensu sanzionatorio) delle prescrizioni impartite (impositive di messa in sicurezza delle acque di falda) non contrasterebbe con la (o risulterebbe imposta dalla) applicazione del principio “chi inquina paga” in forza del principio di precauzione. La direttiva 2004/35/CE (che declina in puntuali statuizioni i richiamati principî comunitari e fornisce indici ermeneutici digrande rilievo sistematico) non opera alcuna distinzione, per quanto riguarda la necessaria sussistenzadel nesso eziologico in punto di causazione del danno, fra le misure di prevenzione e le misure diriparazione di cui all’articolo 2, punti 10 e 11. Al contrario, in entrambi i casi l’insussistenza di un nesso eziologico fra la condotta dell’operatore e l’evento dannoso vale ad escludere qualsiasi conseguenza a suo carico, sia per ciò che riguarda le misure di prevenzione, sia per quanto riguarda le misure di riparazione in senso proprio.

(Nella fattispecie, il TAR ha ritenuto pacifico, dall’istruttoria in atti, che la ricorrente fosse soltanto proprietaria del complesso immobiliare oggetto del piano di caratterizzazione, non avendo le amministrazioni resistenti svolto una specifica istruttoria al precipuo scopo, da un lato, di accertare il concorso, anche in minima misura, dell’attività industriale della ricorrente, in ordine alla causazione della genesi del rilevato fenomeno inquinante e, dall’altro, di confutare la tesi, da quest’ultima sostenuta in forza dei condotti autonomi accertamenti, circa la provenienza della contaminazione della falda dalla zona a monte idrogeologico del sito e, dunque, da aree esterne allo stabilimento.

In particolare, i Giudici hanno ritenuto che l’amministrazione regionale non avesse, mediante dei puntuali riscontri probatori acquisiti all’esito di una compiuta istruttoria, determinato in capo alla società ricorrente la responsabilità dell'inquinamento del sito e che - in base ai dati disponibili, offerti dalla ricorrente e non validamente confutati neppure in sede processuale dall’amministrazione regionale - la contaminazione della falda fosse riconducibile alla zona a monte idrogeologico del sito e, dunque, da aree esterne allo stabilimento, nonché a sostanze diverse da quelle ivi utilizzate, non risultando, pertanto, accertata la responsabilità della ricorrente in ordine alla genesi ovvero all’aggravamento dell’inquinamento del sito, neppure sotto il profilo del nesso di causalità tra l’attività dalla stessa svolta e la predetta situazione di inquinamento. Di conseguenza , ed allo stato, la posizione della società non è stata ritenuta assimilabile a quella dell’operatore “responsabile dell’inquinamento”).



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