In linea di principio, i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.
Nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico.
(Nella specie, il Collegio
ha evidenziato che all'Amministrazione competente, in difetto della
ascrivibilità soggettiva della condotta preordinata allo scarico abusivo dei
rifiuti, residua la possibilità, alla stregua di quanto stabilito dall'ultima
parte del III comma dell'art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, di procedere
all'esecuzione d'ufficio "in danno dei soggetti obbligati ed al recupero
delle somme anticipate" che può avvenire mediante insinuazione del
relativo credito nel passivo fallimentare).
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